IL DISCORSO ARGOMENTATIVO GIURIDICO
TECNICHE DI ESPOSIZIONE IN UDIENZA
Giuseppe
Aliano[1]
IL DISCORSO
ARGOMENTATIVO GIURIDICO[2]
Come per tutti i settori della vita, anche per
affrontare il processo tributario, in particolare l'udienza di discussione del
ricorso, vi sono delle tecniche, cioè delle regole da seguire per ottimizzare
il proprio lavoro.
La prima fondamentale regola da tenere presente è
quella di non danneggiare la causa. Infatti sono numerosi gli errori
suscettibili di pregiudicare irreparabilmente l’esito di un processo (in un
processo penale, ad esempio, quello di voler affrontare il dibattimento quando
per l’imputato sarebbe invece più conveniente la scelta di un rito alternativo;
oppure il tentativo fallito di provare l’alibi con testi; oppure l’uso
sconsiderato della tecnica del controesame dei testi di accusa; la
prospettazione di tesi basate su una ricostruzione dei fatti non dimostrata o
non dimostrabile).
Altro errore da evitare è quello di non cercare mai
di smontare questioni abbastanza fondate, sia per evitare di perdere
credibilità nei confronti del giudice, sia per indirizzare tutta l'azione
difensiva nella ricerca di argomenti più convincenti.
Un'altra regola importante per svolgere una valida
difesa è quella di cogliere il punto centrale del processo, cioè quello dalla
cui soluzione dipende l’esito della causa.
Generalmente in ogni processo esiste un solo punto centrale da cui
dipendono tutti gli altri.
Peraltro, per costruire un discorso argomentativo, è
indispensabile innanzitutto stabilire quale sia l’obiettivo che con esso si
vuole conseguire, ad evitare di iniziare una esposizione senza sapere quali ne
siano la direzione né la conclusione; quindi deve essere, dall’inizio alla
fine, teso a dimostrare una tesi, quella che, nelle intenzioni, sarà
convincente per l'esito vittorioso della causa.
E' necessario, evidentemente, conoscere molto bene
gli atti processuali e studiare attentamente il il reato o la violazione
ipotizzati e le fonti di prova su cui si fondano (l'esperienza insegna che
tanto più può ottenersi in termini di risultati, ammesso che nel caso trattato
siano ipotizzabili, quanto più ci si è dedicati alla pratica). Quindi, il
discorso va preparato articolandolo su:
ricerca degli argomenti, disposizione degli stessi
in ordine di forza crescente e scelta della forma più appropriata per conferire
al discorso una maggiore efficacia persuasiva.
In tutto ciò è molto di aiuto la
"conoscenza" dei giudici del Collegio. Spesso infatti (naturalmente
dipende dai casi trattati) può ritenersi opportuno aggiungere meno possibile a
quanto già riportato negli atti, mentre in altre occasioni bisogna
necessariamente spiegarsi meglio, e spesso una dialettica convincente vale più
di tanti scritti (ma può essere vero anche l'esatto contrario). Assolutamente
importante, poi, è la credibilità che, con il tempo, il difensore riesce ad
acquistare presso i giudici. Questo fa sì che a volte la convincente
esposizione di questioni complesse, naturalmente supportate da elementi
fondati, contribuisca molto a costruire il favorevole convincimento del
giudice. Ma quanto sostenuto deve essere realmente fondato, quindi superare un
eventuale "controllo" scrupoloso; in caso contrario può succedere di
"bruciare" in brevissimo tempo anni di lavoro serviti per costruirsi
una credibilità.
Quindi aiuta molto conoscere chi si ha di fronte.
Nei primi casi discussi dal sottoscritto davanti ad
una Commissione tributaria, un presidente, in particolare, era solito aprire la
discussione chiedendo: "ha da
aggiungere altro oltre a quello che ha scritto ?"
Timori riverenziali ed incertezze che sono soliti ad
inizio di carriera procuravano un'unica emozionata quanto spontanea risposta:
"no". E il presidente, allora:
"arrivederci".
Spesso perdevo la causa e dovevo recuperare in
appello.
Dovendo cambiare lo stato di quanto stava accadendo,
alla fatidica domanda, con uno sforzo poi svanito nel tempo perché sostituito
da una particolare sicurezza, ho iniziato a rispondere, con molta attenzione e
misurando anche le virgole, per non urtare l'eventuale suscettibilità del
presidente: "no, ma se mi permette vorrei precisare…ecc. ecc.".
Da quel momento è andata sempre meglio.
Questo significa che, salvo i casi in cui la pretesa
è palesemente infondata e ciò viene dimostrato con il contenuto degli atti, nei
casi in cui essa "potrebbe" essere infondata bisogna essere
convincenti sia con il contenuto degli atti ma, soprattutto, con una valida
esposizione orale.
Ed un problema spesso molto sentito è rappresentato
dalla difficoltà di dare forma linguistica alle idee, di rivestire di parole i
concetti e di conferire forza persuasiva agli argomenti. Se è vero che si tende
spesso (anche nei processi) a privilegiare una forma espressiva sempre più
concisa ed essenziale, quando si tratta non soltanto di esprimere una propria
opinione, ma di indurre altri (per esempio, il giudice) a condividerla, non vi
è dubbio che appare di fondamentale importanza il modo col quale il discorso
viene formulato, naturalmente semprechè si abbiano delle buone ragioni da far
valere. Infatti, qualunque sia il genere di argomentazione che si intende porre
in essere, è pacifico che essa avrà tanto maggiore forza persuasiva quanto più
il discorso sarà strutturato in forma retorica, in quanto caratterizzato da
figure di pensiero o di parola volte a rendere più piacevole l’elocuzione, ma soprattutto
di speciali tecniche di amplificazione e di coinvolgimento (tra cui la più
suggestiva è senza dubbio la forma interrogativa che, conferendo al discorso
una struttura dialogica, determina il diretto coinvolgimento dell’uditorio).
In psicologia, la persuasione è un complesso
fenomeno per mezzo del quale un soggetto tende ad influenzare, in modo non
coercitivo, l’opinione o il comportamento di un altro soggetto, la cui
caratteristica peculiare è quella di agire a livello essenzialmente inconscio,
insinuandosi, quasi inconsa-pevolmente, nell’animo del destinatario di essa.
Quindi la persuasione altro non è che una particolare forma di comunicazione
interpersonale che, per poter operare, necessita di un preventivo (ancorchè
tacito) accordo tra persuasore e persuadendo, quantomeno su un elemento base
presente nel complesso cognitivo del persuadendo che funge da ancoraggio.
Da ciò la necessità, affinchè il discorso
argomentativo possa essere recepito, che tra difensore (persuasore) e giudice
(persuadendo) si instauri un rapporto di cooperazione, non diverso da quello
che caratterizza ogni altro tipo di comunicazione interpersonale.
I presupposti perché possa realizzarsi questo
rapporto sono essenzialmente la credibilità del persuasore (che viene meno, come
già detto, quando la tesi sostenuta sia del tutto incongrua, arbitraria o
comunque non aderente alle risultanze processuali) e l’adattamento, almeno
nella fase iniziale del discorso, ad un’opinione che sia presumibilmente
condivisibile da parte del giudice, essendo un dato di comune esperienza che è
più facile convincerci con ragioni trovate da noi stessi che non con quelle
venute in mente ad altri. Quindi deve
instaurarsi tra difensore e giudice un rapporto per far sì che, quanto più il
giudice mostra di accettare le tesi che gli vengono prospettate, tanto più
risulti rafforzata la convinzione del difensore nel sostenere le tesi stesse e,
quindi, accresciuta la forza persuasiva.
Spesso capita che i giudici sembrino ascoltare con
scarsa attenzione, e questo è un elemento demoralizzante per il difensore,
mentre può capitare che alcuni di essi sembrino distratti mentre uno soltanto
annuisce ascoltando l'esposizione: questo serve a rafforzare, invece, la
convinzione del difensore.
Quindi è molto importante il coinvolgimento diretto
del giudice, che si ottiene "interessandolo" con buona prospettazione
delle argomentazioni e una buona dialettica.
Una tecnica interessantissima è quella secondo cui il
discorso deve svilupparsi secondo tre
momenti fondamentali:
1)
Bisogna enunciare i punti essenziali
del discorso che si andrà a fare;
2)
Uno sviluppo del tema;
3)
Una conclusione sintetica.
Il tutto può essere sintetizzato in una regola:
"Dico che sto per dirlo, lo dico
e dico di averlo detto".
Naturalmente bisogna evitare poi di tralasciare quanto è stato enunciato,
ed il sistema più semplice è quello di annotare una "scaletta" dove
andare a pescare il punto da trattare ad ogni cambio d'argomento.