Incidenza dei costi occulti
nell’accertamento
sui conti bancari
di Giuseppe Aliano
Università
di Roma La Sapienza Cultore di Diritto Tributario
Dottore
commercialista in Pescara
Sommario:
1.
Premessa.
2. Le indagini bancarie -
procedimento.
3. I prelevamenti e l’indicazione
del beneficiario.
4. I costi occulti e l’incidenza
sul reddito accertato.
5. La giurisprudenza di
legittimità
6.
Corte Costituzionale
n. 225 dell'8.6.2005
1.
Premessa
Uno degli strumenti
di lotta all'evasione oggi maggiormente utilizzato è costituito dalle c.d.
"indagini bancarie", disciplinate dall'art. 32, D.P.R. 600/1973.
Destinatari delle indagini bancarie possono essere sia le persone fisiche che i
titolari di reddito d'impresa o di lavoro autonomo.
In particolare, in
tale ultimo caso, un importante elemento di criticità, cui è rivolta l’analisi,
è rappresentato dall'esatta ricostruzione della capacità contributiva del
soggetto sottoposto a verifica, per cui non appare ragionevole la semplice e
restrittiva applicazione della citata norma, nella parte in cui prevede il
recupero a tassazione dell’ammontare di accreditamenti e prelevamenti non
giustificati, che non tenga conto dell’eventuale sostenimento di costi
"occulti", per i quali sia la prassi (C.M. 19.10.2006, n. 32/E[1]) che
la giurisprudenza di legittimità (Cass. 20735/2010) prevedono il diritto alla
deduzione, qualora ne venga provata l'esistenza sulla base di elementi certi e
precisi.
2.
Le indagini bancarie - procedimento
Per avviare dette
indagini, l'ente accertatore deve previamente munirsi dell'autorizzazione del
direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate o del direttore
regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di finanza, del
comandante regionale.
Una volta ottenuta
l'autorizzazione, la norma prevede che l'indagine bancaria possa fornire
ausilio ad una precedente attività di accertamento, ispezione e verifica
instaurata nei confronti di un contribuente (p.to 6-bis, del citato art. 32),
ovvero possa costituire autonoma attività istruttoria (successivo p.to 7), nel
qual caso la richiesta di fornire dati, notizie "e qualsiasi rapporto
intrattenuto" deve essere rivolta direttamente agli istituti finanziari e
non al soggetto destinatario del controllo.
Il p.to 2, dell'art.
32, c. 1, D.P.R. 600/1973, disciplina la valenza probatoria delle indagini
bancarie. Nello specifico, viene previsto che i dati e le notizie raccolti in
sede di indagini sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti
previsti dagli artt. 38, 39, 40[2] e 41,
D.P.R. 600/1973 se il contribuente:
·
non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del
reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine;
·
non indica il soggetto beneficiario degli incassi e dei
prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili.
Come evidenziato
dall'Agenzia delle Entrate (C.M. 19.10.2006, n. 32/E), il riferimento normativo
alle scritture contabili trova applicazione solo nei confronti dei soggetti
obbligati alla tenuta delle stesse scritture e, quindi, solo nel caso in cui
sia configurabile un'attività economica, anche di natura professionale[3].
Per le persone
fisiche, quindi, ciò che conta è che il movimento bancario faccia riferimento
ad operazioni di cui si è tenuto conto ai fini della determinazione del reddito
imponibile, ovvero di operazioni di cui non si è tenuto conto in quanto non
rilevanti per detti fini.
Nel caso del
soggetto che agisce in regime d'impresa o che svolge attività professionale,
questi, in sede di indagini bancarie, sarà tenuto a dimostrare che le singole
movimentazioni finanziarie hanno concorso alla formazione del reddito soggetto
ad imposta, oppure che non vi hanno concorso in quanto non rilevanti. Inoltre,
all'imprenditore o al professionista, saranno posti come ricavi o compensi gli
incassi e i prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili e per i
quali non viene indicato il soggetto beneficiario.
Proprio la dizione
"... sempreché non risultino dalle
scritture contabili ...", ha portato sia la dottrina che la
giurisprudenza alla condivisibile opinione secondo cui non operi la presunzione
di ricavo/compenso di cui all'art. 32, D.P.R. 600/1973, quando, nel caso di
contribuente in contabilità ordinaria soggetto a verifica, si dia evidenza del
prelievo in contabilità, con la specifica che il beneficiario risulti lo stesso
imprenditore/ professionista.
Sulla base di tale
considerazione, quindi, l'adozione anche volontaria della contabilità ordinaria
potrebbe essere un valido scudo in tema di indagini bancarie, quantunque ciò
comporti dei maggiori costi e non costituisca un obbligo, per non aver superato
i limiti di cui all'art. 18, D.P.R. 600/1973.
In assenza di dettaglio
contabile delle operazioni finanziarie, quindi, - come nel caso del
contribuente in semplificata - l'unica difesa contro una ripresa a tassazione
del prelevamento è l'indicazione del beneficiario.
3.
I prelevamenti e l’indicazione del beneficiario
Come è di facile
intuizione, l'attenzione verrà posta soprattutto sui prelevamenti ed uscite
finanziarie in quanto la difesa contro gli incassi si basa esclusivamente sulla
non rilevanza degli stessi ai fini della determinazione del reddito soggetto ad
imposta e, nello specifico, nella dimostrazione che l'entrata finanziaria non
riguarda l'attività imprenditoriale ovvero professionale svolta dal
contribuente.
Con riferimento ai
prelevamenti e alle uscite finanziarie, la via d'uscita dell'indicazione del
beneficiario si presenta sovente come una "prova diabolica",
soprattutto quando, come accennato poco sopra, il contribuente abbia adottato
la contabilità semplificata e la verifica si riferisca ad annualità pregresse.
Di contro, nella verifica basata sulle indagini bancarie, l’Agenzia delle
Entrate mantiene un atteggiamento rigido nel richiedere che l'indicazione del
beneficiario debba essere precisa e puntuale.
Dunque, non sono
tollerate indicazioni di carattere generale; il giustificativo, infatti, deve
essere potenzialmente idoneo a permettere ai funzionari dell'Ufficio, di
verificare se il beneficiario dell'operazione abbia anch'egli, a sua volta,
fatto concorrere alla formazione del reddito tale movimento, essendocene i
presupposti.
L'obiettivo del
doppio riscontro (prima in capo al soggetto sottoposto a verifica poi in capo
all'eventuale beneficiario da lui indicato) è il motivo per il quale sono
oggetto di ripresa a tassazione non solo gli incassi ma anche i prelevamenti
non giustificati.
Come esplicitato
nella C.M. 32/E/2006, il ragionamento che fa l'Agenzia delle Entrate è il
seguente: agli incassi non giustificati corrispondono ricavi/compensi non
dichiarati. Dall'altra, invece, i prelevamenti non giustificati probabilmente
nascondono l'esecuzione di acquisti di beni e servizi, inerenti a ricavi o
compensi non dichiarati.
Quindi, per quanto
riguarda gli incassi, la ripresa a tassazione avviene direttamente in capo al
soggetto destinatario delle indagini bancarie (il caso è quello del
contribuente che non sia riuscito a dimostrare l'estraneità del movimento
bancario alla propria attività imprenditoriale/ professionale); per quanto riguarda
i prelevamenti, invece, ove il contribuente indichi in maniera puntuale il
soggetto beneficiario, la ripresa a tassazione avverrà in capo a quest'ultimo,
salvo i limiti temporali ed i termini di decadenza dell’azione accertatrice.
In caso contrario, il
prelevamento non giustificato concorrerà alla formazione del reddito imponibile
dello stesso contribuente, assieme agli altri incassi e prelevamenti non
giustificati. Può dunque sostenersi che si sia davanti ad una solidarietà passiva
al pagamento dei tributi.
4.
I costi occulti e l’incidenza sul reddito accertato
La corretta
indicazione del beneficiario non consente solo di evitare l'attribuzione di
ulteriori ricavi e compensi sulla base delle indagini finanziarie. Come
affermato dalla Cassazione con Sentenza 20735/2010, il contribuente può
dimostrare, infatti, che il prelevamento oggetto di contestazione non solo non
rappresenta un compenso/ ricavo ma che lo stesso costituisce un costo inerente,
rilevante ai fini della determinazione del maggior reddito accertabile, in
virtù del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost.
La necessità di
considerazione dei costi occulti è stata già evidenziata in passato dalla
stessa Agenzia delle Entrate (C.M. 32/E/2006), facendo leva sul disposto di cui
al co. 4, lett. b), dell'art. 109, D.P.R. 917/1986, il quale dispone che "le spese e gli oneri specificamente
afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al
conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e
nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi".
La norma è posta a
difesa del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost.,
e fa in modo che la tassazione colpisca solamente il reale incremento di
ricchezza originatosi in capo al soggetto sottoposto a verifica.
In sostanza, occorre
verificare se all’ammontare del presunto imponibile che rappresenterebbe l’incremento
di capacità contributiva verificatosi in capo all'imprenditore/professionista,
va data possibilità di dimostrare l'esistenza di costi e spese inerenti i presunti
ricavi/compensi non dichiarati; ove venisse dimostrata l'esistenza di tali
costi, la tassazione dovrebbe colpire unicamente la quota parte di
ricavo/compenso, rappresentativo del reddito occultato al Fisco.
Nella predetta
circolare, prosegue l'Agenzia delle
Entrate, la possibilità di provare l'esistenza di eventuali costi occulti
riguarda unicamente gli accertamenti che si fondano sui dati contabili. Dunque,
il contribuente potrà provare l'esistenza di costi "neri" solo quando
è destinatario di un accertamento analitico di cui all'art. 39, co. 1, lett.
a), b) e c), ovvero analitico induttivo, di cui all'art. 39, co. 1, lett. d),
D.P.R. 600/1973; ovverosia in riferimento a quelle modalità accertative che,
partendo dal dato contabile, possono all'occorrenza essere supportate anche
dall'impiego di presunzioni semplici, dotate dei requisiti di gravità,
precisione e concordanza di cui all'art. 2729, c.c.
Come cennato,
inoltre, il riconoscimento dei costi "neri" deve avvenire, sulla base
di elementi certi e precisi. Ciò in quanto, se è vero che ai sensi del c. 1,
dell'art. 39, D.P.R. 600/1973 il singolo dato contabile può essere disatteso
dall'Ufficio solo mediante presunzioni semplici ma "qualificate", non
può il contribuente, in sede amministrativa o contenziosa, contestare la
presunzione avanzata dall'Ufficio con un'altra presunzione, ma deve fornire una
prova certa. Prosegue ancora l'Agenzia, affermando che il disposto del c.. 4,
lett. b), dell'art. 109, D.P.R. 917/1986, costituisce appunto una presunzione
legale relativa di indeducibilità a favore dell'Ufficio accertatore, tale per
cui chi volesse provare l'esistenza di un costo deve dimostrare gli elementi
certi e precisi cui si fonda suddetta richiesta di riconoscimento[4].
Nel caso di accertamento
di tipo induttivo, quindi eseguito ai sensi del c.. 2, dell'art. 39, D.P.R.
600/1973, la presunzione legale relativa di cui al c.. 4, lett. b), dell'art.
109 D.P.R. 917/1986 non opera in quanto la ricostruzione del reddito è di tipo
sintetico e non analitico (prescinde cioè dalle risultanze contabili). In
questo caso però, afferma l'Agenzia delle Entrate, il principio di giusta
capacità contributiva va garantito riconoscendo un'incidenza percentuale di
costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati[5].
5.
La giurisprudenza di legittimità[6]
Tornando al caso
dell'accertamento analitico-induttivo, fondato sulla base delle risultanze di
un'indagine bancaria e, nello specifico, sull'esatta ricostruzione della reale
capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica, come evidenziato poco
sopra, all'imprenditore, ovvero al professionista sottoposto ad indagine
bancaria, sono posti come ricavi, ovvero compensi, gli incassi ed i
prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili e per i quali non
viene indicato il soggetto beneficiario. L’aspetto cruciale è l'esatta
individuazione della capacità contributiva dell'imprenditore /professionista
sottoposto a verifica, mentre per l'Agenzia delle Entrate, nel caso di
accertamento analitico-induttivo fondato sulle risultanze delle indagini
bancarie, il riconoscimento dei "costi neri" deve poggiare su
elementi certi e precisi.
In merito
all'individuazione dei costi occulti è intervenuta anche la Suprema Corte di
Cassazione con la Sentenza 20735/2010, che avvalorando quanto già espresso
dall'Agenzia delle Entrate nella citata C.M. 32/E/2006, ha disposto che qualora
a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un
fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le
relative operazioni di acquisto ma di cui fornisce successivamente, in via
extracontabile, documentazione probante, l'ente accertatore è tenuto a
riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione
analitico-induttiva del reddito, ai sensi della lett. d), del c. 1, dell'art.
39, D.P.R. 600/1973[7].
6.
Corte Costituzionale
n. 225 dell'8.6.2005
Dunque,
come già ritenuto dalla Consulta con la pronunzia richiamata, l'Amministrazione
finanziaria deve tenere conto, nella determinazione del reddito imponibile,
dell'incidenza dei costi correlati ai ricavi il cui conseguimento è peraltro
presunto iuris tantum, ammettendosi
la prova contraria attraverso l'indicazione del beneficiario dei prelievi[8]. Il contribuente può
dimostrare, infatti, che il prelevamento oggetto di contestazione non solo non
rappresenta un compenso/ricavo ma che lo stesso costituisce un costo inerente,
rilevante ai fini della determinazione del maggior reddito accertabile, in
virtù del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost.-
Concludendo, il
contribuente potrà, in sede di verifica scaturita da indagini bancarie, tentare
la via del riconoscimento di quei costi extracontabili che posseggano i
requisiti di certezza e precisione richiesti dalla prassi e dalla
giurisprudenza.
[1]
In ordine all'incidenza dei costi occulti, ai
fini delle imposte dirette, per quanto concerne l'accertamento dei redditi di
impresa determinati sulla base delle scritture contabili, la C.M. 32/E/2006
prende le mosse dal disposto dell'art. 109, co. 4, lett. b), ultimo periodo,
D.P.R. 917/1986 (applicabile anche alle imprese minori ex art. 66, co. 3), il
quale prevede che "le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi
e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico
concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in
cui risultano da elementi certi e precisi".
[2]
In virtù dell'espresso richiamo contenuto
nell'art. 40, D.P.R. 600/1973, le previsioni normative recate dall'art. 39
spiegano la loro efficacia, oltre che nei confronti delle persone fisiche
titolari di reddito d'impresa, anche nei riguardi delle persone giuridiche
individuate dall'art. 73, D.P.R. 917/1986 e delle società di persone e
associazioni indicate nell'art. 5 dello stesso D.P.R.
[3]
Le indicazioni fornite trovano sostanziale
applicazione anche nei confronti del reddito professionale, laddove la
presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori
autonomi e, in particolare, per quanto riguarda la valenza che assumono i
prelevamenti e gli importi riscossi, che se non giustificati da parte del
contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del
relativo reddito (in particolare, art. 39, co. 3, D.P.R. 600/1973).
[4]
Sul punto, viene richiamata la sentenza della
Corte di Cassazione 4.5.2005, n. 18016 (depositata il 9.9.2005), secondo la
quale "alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non
una altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere
generale"; e ciò nella considerazione che sarebbe irragionevole far valere
una diversa regola di esperienza che a ricavi occulti siano genericamente e
automaticamente accompagnati costi occulti, mentre potrebbe assumere pari e
superiore valore una regola contraria che "a ricavi occulti siano
accompagnati costi già dichiarati in misura maggiore del reale". Negli
stessi termini si pone anche la sentenza n. 19003/2005. Entrambe in “Banca dati
del commercialista” de “Il Sole 24 ore”
[5]
Al riguardo cfr. Ctr del Lazio, sentenza n. 311/38/12 depositata il 29.11.2012
- in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole
24 ore”.
[6]
la giurisprudenza della Cassazione, nel corso di
questi anni, è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità dei
controlli bancari: in particolare, sulla necessità o meno dell'instaurazione
del contraddittorio tra verificatori e contribuente, sull'opportunità della
sussistenza di ulteriori elementi probatori a supporto dell'istruttoria,
sull'estensibilità delle indagini ai terzi, e sull'onere della prova.
Evidenziamo la pregressa giurisprudenza:
-
sentenza n. 15447/2001, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che ha affermato che "i dati acquisiti attraverso accertamenti della
Guardia di Finanza, ed in particolare i dati dei movimenti bancari,
costituiscono legittima fonte di convincimento per l'Ufficio e per il
giudice";
-
sentenza n. 1196/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che non accoglie la tesi difensiva del contribuente, secondo cui il titolare di
un'impresa individuale deve ritenersi soggetto distinto rispetto alla persona
fisica che esercita l'impresa, e che, pertanto, non potevano utilizzarsi le
risultanze del controllo sui conti del ricorrente ai fini dell'accertamento sul
verificato, trattandosi "di motivi infondati, che sono accomunati
dall'errore di postulare per il titolare di un'impresa individuale una
posizione giuridica distinta, sotto il profilo tributario, da quella della
persona fisica che esercita l'impresa. Al contrario, è principio fondamentale
dell'imposizione sui redditi delle persone fisiche quello per il quale tutti i
redditi posseduti, e, tra questi, anche quello d'impresa, si cumulano,
concorrendo a formare, in capo al contribuente persona fisica, un'unica base
impositiva sulla quale si applica l'imposta";
-
sentenza n. 8683/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo
cui l'intestazione dei conti correnti a familiari (nel caso di specie, al
coniuge) "(...) rappresenta un espediente normale (...) quando il
contribuente sia soggetto a verifiche fiscali". Non vi sono, quindi, dubbi
sul fatto che l'indagine sul conto cointestato è legittimata se i coniugi sono
co-dichiaranti, "(...) ma risulta del pari legittima siffatta indagine in
ragione della connessione e della inerenza del conto intestato al coniuge al
(conto intestato al) contribuente. Se la legge consente l'acquisizione delle
garanzie prestate da terzi, a maggior ragione è consentita l'acquisizione di
dati relativi a conti correnti del coniuge";
-
sentenza n. 2814/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che
stabilisce che conti intrattenuti dal contribuente non devono considerarsi
unicamente i "conti formalmente intestati alla società", ma anche
"quelli formalmente intestati a suoi soci, amministratori o procuratori
generali", gravando comunque sull'Amministrazione l'onere di provare,
anche in via presuntiva, "la natura fittizia dell'intestazione o comunque
la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati o
elementi di essi";
-
sentenza n. 11094/1999, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che sostiene che nessuna norma prevede la nullità dell'azione di accertamento
nel caso in cui non venga instaurato il contraddittorio anticipato con il
contribuente, al fine di consentirgli di fornire la prova contraria (in senso
conforme Cass. sent. n. 9946/2000; sent. n. 10060/2000; sent. n. 4601/2002);
-
sentenza n. 3128/2001, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che
riafferma il principio che l'attività di controllo e accertativa, non essendo
retta dal principio del contraddittorio, esclude che le risultanze emerse
dall'attività di verifica, non possano costituire un valido supporto probatorio
della pretesa impositiva solo per la mancata immediata contestazione al
contribuente in sede di verifica;
-
sentenza n. 14420/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
secondo cui la mancata individuazione dei beneficiari di somme transitate sui
conti bancari di una società non è sufficiente ai fini Iva per qualificare
queste voci quali ricavi non dichiarati. La Corte, pur evidenziando come spetti
al contribuente l'onere di dimostrare che gli elementi rilevati dai conti
bancari siano stati considerati per la determinazione del reddito, ovvero che
non abbiano rilevanza a tal fine, ha affermato che l'art. 51, D.P.R. 633/1972,
a differenza della corrispondente disposizione per le imposte sui redditi, non
prevede a carico del contribuente l'obbligo di indicazione dei beneficiari dei
movimenti bancari;
-
sentenza n. 16035/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
secondo cui la presunzione che assimila ai ricavi non dichiarati i prelevamenti
effettuati dal contribuente non vale se si riesce a dimostrare che di tali
somme si è tenuto conto nella determinazione del reddito. In particolare, nel
caso specifico, la Corte ha statuito che gli assegni bancari transitati sui
conti correnti e cambiati per cassa non costituiscono necessariamente ricavi
occulti;
-
sentenza n. 19947/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che ribadisce il principio, affermato per altro nella sentenza n. 11778/2001,
"secondo cui l'utilizzazione dei poteri riconosciuti dalla norma (...)
relative ad annualità precedenti la sua entrata in vigore non configura affatto
una applicazione retroattiva della disposizione in quanto non determina una
modificazione sostanziale della posizione soggettiva del contribuente atteso
che gli obblighi di questo nei confronti del Fisco restano quelli separatamente
contemplati dalle leggi in vigore al tempo della dichiarazione: il momento
dell'accertamento, infatti, per sua natura, non è idoneo a modificare
l'obbligazione tributaria né il contenuto della dichiarazione, il cui parametro
di legittimità è costituito dalla sua veridicità, per cui la contestata
applicazione incide solo sul controllo di tale dichiarazione, più
specificamente sull'acquisizione della prova";
-
sentenza n. 21580/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che legittima l'operato dell'Ufficio che ha acquisito notizie relative ai conti
correnti bancari intestati ai soci di società a ristretta base azionaria,
quando sia finalizzato ad accertare il carattere fittizio di tale intestazione
e l'esistenza di ricavi non dichiarati da parte della società;
-
sentenza n. 18016/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
che ha sostenuto che "in caso di acquisizione dei movimenti di un conto
corrente bancario riconducibili all'impresa (nel caso di specie, si trattava di
un conto corrente intestato al socio accomandante, su sui operavano i soci
accomandatari), debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia
quelle passive (a meno che l'imprenditore non dimostri che corrispondano ad
operazioni già contabilizzate o estranee all'attività aziendale)". Il dato
più interessante della sentenza è sicuramente l'affermazione secondo cui
"non occorre procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi
deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali
specifici costi deducibili (nel caso di specie, il giudice di I grado aveva
equitativamente dedotto dai ricavi accertati un 60 per cento a titolo di
presumibili spese, il giudice d'appello aveva cancellato simile deduzione e la
Cassazione ha confermato la pronuncia di II grado)";
-
sentenza n. 19003/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
con cui è stato affermato che "in caso di acquisizioni dei movimenti di un
conto corrente bancario riconducibili all'impresa (...) debbono essere
considerati ricavi sia le operazioni ative sia quelle passive (...), senza che
si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili,
essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi
deducibili";
-
sentenza n. 19956/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
secondo cui, in tema di Iva, il rinvenimento di singoli dati ed elementi
risultanti dai conti bancari non transitati nelle scritture dell'imprenditore,
costituisce il presupposto di una presunzione legale (anche se relativa, in
quanto è ammessa la prova contraria da parte del contribuente), a favore del
Fisco, utilizzabile ai fini della ricostruzione della base imponibile e la cui
configurabilità non è subordinata al contraddittorio con il contribuente,
anticipato in sede amministrativa. La sentenza, inoltre, afferma, in pratica,
che le disposizioni in materia di accessi bancari costituiscono norme procedimentali
relative all'acquisizione delle prove, che possono spiegare effetti anche in
ordine a rapporti pregressi;
-
sentenza n. 3115/2006, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo
cui l'utilizzo dei dati bancari non è subordinato al contraddittorio con il
contribuente;
-
sentenza n. 15166/2006, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”,
secondo cui la causale "acconto forniture" indicata nella matrice di
un assegno, oltre ad implicare la prova diretta dell'esistenza di una operazione
commerciale, che se non trova riscontro in contabilità, fa nascere la
presunzione di acquisti in nero, determina la presunzione di una successiva
cessione degli stessi beni.
-
Cass. n. 7957/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Le
presunzione di cui all'art. 32, D.P.R. 600/1973 si estende anche ai conti
correnti sui quali di norma il contribuente opera (nel caso di specie sulla
base di delega dell'intestatario), anche se si tratti di conti correnti
intestati a familiari (nella specie, al figlio). Per la Suprema Corte
l'estendibilità delle presunzioni ai terzi deriva dalla constatazione che
"altrimenti sarebbe assai facile eluderne la portata precettiva". In
ogni caso, "la gestione di un conto corrente altrui è circostanza
eccezionale che rende valida l'estensione della presunzione di appartenenza dei
relativi redditi, equivalendo l'intestazione formale, a tali fini, al potere di
sostanziale disposizione, ove non si alleghi e si dimostri che quel potere di
disposizione era dato per circostanze specifiche e ampiamente giustificabili;
che, in ogni caso, al contribuente spetta il diritto di controdedurre sulle
operazioni svolte su tali conti, rendendone ragione, con l'allegazione di fatti
suscettibile di apprezzamento da parte del giudice".
-
Cass. n. 6743/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - In
una società la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad
un unico ristretto gruppo familiare ben si può presumere che siano
riconducibili alla società contribuente le operazioni riscontrate su conti
correnti bancari intestati ai soci e ai loro familiari, salva la facoltà di
provare la diversa origine di tali entrate. Secondo la Corte di Cassazione è
principio consolidato che la presunzione legislativa in ordine ai controlli
bancari può essere vinta dal contribuente solo se offre la prova
"liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o
che questi si riferiscono ad operazioni imponibili (cfr. Cass., sentt. n. 3929
del 2002, n. 2435, n. 8457 del 2001, n. 9946 del 2000 e n. 18421, n. 26692 e n.
28324 del 2005)", e "che, peraltro, l'estensione delle indagini
bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi
illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o
quali amministratori o quali congiunti di questi e, quindi, in una società,
come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è
riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l'esistenza
di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente
accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati a
tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa
origine di tali entrate (cfr. Cass., sentt. n. 1728 del 1999, n. 8683 del 2002,
n. 13391 del 2003 e, con qualche limitazione, sent. n. 8826 del 2001)".
-
Cass. n. 9588/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - In
caso di accertamenti nei confronti di una società di persone, l'acquisizione e
utilizzazione dei dati bancari non è limitata ai soli conti intestati alla
società ma può riguardare anche quelli formalmente intestati a soggetti
diversi, ove legati alla società da particolari rapporti, quali i soci
amministratori, atteso che il rapporto intercorrente tra questi ultimi e la
società amministrata è talmente stretto da realizzare una sostanziale identità
di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria,
l'utilizzazione dei dati raccolti.
-
Cass. n. 9570/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - L'utilizzazione
dei dati bancari non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti
attività d'impresa; infatti, se non viene contestata la legittimità dell'acquisizione
dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere
utilizzati sia per dimostrare l'esistenza di una eventuale attività occulta sia
per quantificare il reddito ricavato da tale attività, essendo onere del
contribuente dimostrare che i movimenti bancari, che non trovano
giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni, non sono fiscalmente
rilevanti.
-
Cass. n. 19216/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Spetta
al contribuente assolvere l'onere probatorio, sussistendo presunzione iuris
tantum in favore dell'Amministrazione finanziaria, sulla dimostrazione circa
l'indifferenza degli elementi, dati e risultanze derivanti dai depositi
intrattenuti presso istituti di credito -posti a base dell'attività di
accertamento-, ovvero di averne tenuto conto ai fini degli adempimenti
dichiarativi oppure di averli esclusi non riferendosi i medesimi ad operazioni
imponibili.
-
Cass. n. 20630/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Costituisce
ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale
opera una presunzione legale iuris tantum in favore dell'Amministrazione
finanziaria -che a differenza delle presunzioni semplici non necessita dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 del c.c.- circa
l'imponibilità dei movimenti bancari rinvenuti nei conti intrattenuti dal
contribuente, ancorché cointestati con terzi. Conseguentemente, grava sul
contribuente l'onere di provare che tali movimenti non sono inerenti ad
operazioni imponibili ovvero hanno concorso alla formazione della base
imponibile. La Corte, quindi, non condivide l'operato della Commissione
tributaria regionale, che aveva accolto l'appello del contribuente per mancanza
di prova dell'esercizio dell'attività commerciale da parte del contribuente,
"non avendo l'ufficio fornito la prova contraria all'affermazione di
costui, secondo la quale i proventi rinvenuti nel conto corrente cointestato
con la moglie provenivano dall'attività di meretricio esercitata dalla
stessa". La Commissione tributaria regionale aveva, invece, addossato
all'Amministrazione finanziaria "l'onere di dimostrare la non veridicità
dell'assunto secondo il quale nel conto corrente cointestato con la moglie erano
affluiti esclusivamente i proventi dell'attività, non imponibile, di costei, in
tal modo invertendo illegittimamente l'onere della prova, posto che alla
suspecificata presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non
una mera affermazione indimostrata (Cass. n. 18016/2005), e senza tener conto
(Cass. n. 11778/2001, n. 15447/2001) che la prova contraria di cui è onerato il
contribuente (n. 2814/2002) va commisurata alla natura e alla consistenza degli
elementi indiziari utilizzati dall'Amministrazione -nella specie riscontrati
dalla Guardia di finanza nei confronti di A.B.- per inferire la prova
dell'attività di lavoro autonomo svolta dal medesimo (Cass. n. 4601/2002, n.
7329/2003)".
-
Cass. n. 20858/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Le
norme di riferimento in materia di indagini finanziarie prevedono delle
presunzioni legali, ancorché semplici, in forza delle quali i versamenti su
conto corrente bancario, in assenza di prova contraria del contribuente che
attesti la loro inerenza all'imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non
imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza
di una vincolante valutazione legislativa.
-
Cass. n. 6351/2008 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - La
documentazione contabile rinvenuta presso il contribuente (nella specie,
estratti conto) può essere legittimamente utilizzata anche in assenza di
ulteriori riscontri (quali ulteriori indagini presso gli istituti di credito)
laddove il soggetto verificato non ne contesti la difformità dall'originale in
quanto deve assumersi che essi siano conformi a quelli detenuti dall'ente
emittente. "La documentazione acquisita è costituita da estratti -conto,
che in mancanza di contestazione circa la loro conformità agli originali, hanno
lo stesso valore probatorio dei correlativi documenti detenuti dall'istituto di
credito e sono quindi dati certi ed obiettivi (non dunque mere presunzioni)
utilizzabili ai fini della ricostruzione della movimentazione bancaria del contribuente".
-
Cass. n. 7766/2008 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - L'interpretazione
delle disposizioni normative di riferimento, che è fornita dalla consolidata
giurisprudenza della Corte e alla quale anche in questo caso il Collegio
ritiene di dover aderire, è nel senso che, "in tema di accertamento delle
imposte dirette, il D.P.R. n. 600/73, art. 32, co. 1, n. 2, introduce una
presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti
correnti bancari. Ciò significa che la stessa legge ritiene certo fino a prova
contraria, che dev'essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un
conto corrente intestato (anche) ad una società sono ad essa imputabili
(vedasi, tra le più recenti, le seguenti sentenze della Corte di Cassazione:
5.10.2007, n. 20858; 27.7.2007, n. 16720; 13.6.2007, n. 13819; 21.3.2007, n.
6743; 8.9.2006, n. 19330; 23.6.2006, n. 14675)". Per la Corte,
"invocare che il grado di parentela degli intestatari dei conti correnti
con i soci della Società non possa costituire la prova, sia pure indiretta, che
le operazioni bancarie siano state poste in essere dalla Società, non solo è
inutile, perché non serve a togliere efficacia alla presunzione legale, ma
semmai la rafforza proprio in ragione della natura del vincolo dei
cointestatari (Corte di Cassazione: 5.10.2007, n. 20858; 7.9.2007, n. 18868;
30.3.2007, n. 7957; 21.3.2007, n. 6743)".
-
Cass. n. 15172/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - "L'acquisizione
dei conti correnti della società e di terzi ad essa collegati (nella specie,
l'amministratore della medesima) doveva ritenersi legittima anche in presenza
di contabilità regolarmente tenuta e i dati emergenti dai suddetti conti
correnti costituivano legittimamente il fondamento di una presunzione
legale".
-
Cass. n. 14967/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Non
è suscettibile di integrare violazione del diritto di difesa l'invito a fornire
elementi e notizie da parte dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del
contribuente in luogo del curatore fallimentare. Trattasi peraltro di mera
facoltà non essendovi obbligo per l'Erario di un contraddittorio nella fase
amministrativa.
-
Cass. n. 2753/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - La
presunzione opera "con forza tale da vincolare l'ufficio tributario ad
assumere per certo che la movimentazione bancaria dei conti correnti intestati
(...) sia (...) imputabile" a colui che dispone del conto, senza necessità
di "procedere all'analisi delle singole operazioni, che, dato il connesso
effetto dell'inversione dell'onere della prova, spetta invece al contribuente
di effettuare (Corte di Cassazione: 24.9.2007, n. 18013; 27.7.2007, n. 16720;
13.6.2007, n. 13819)". In presenza di accertamenti bancari, quindi (Cass.,
trib., 28.3.2008 n. 8041), incombe "al contribuente l'onere di dimostrare
che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue
dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (Cass. n. 9573/2007, n. 1739/2007,
n. 28324/2007)".
[7]
Naturalmente, qualora il contribuente abbia
fornito le valide giustificazioni atte a neutralizzare le movimentazioni
finanziarie effettuate, non opera la presunzione a livello legale e quindi, in
linea di massima, non si configura un parallelo problema di deducibilità di
costi.
Tuttavia,
"qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come
beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri
contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui fornisce
successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l'ufficio
procedente dovrà invece riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della
ricostruzione analitico-induttiva del reddito ai sensi della citata lettera d)".
Se,
invece, l'Ufficio utilizza l'accertamento di tipo induttivo, ex art. 39, co. 2,
D.P.R. 600/1973, "l'ufficio non può non tenere conto, soprattutto in
assenza di documentazione certa, di un'incidenza percentuale di costi presunti
a fronte dei maggiori ricavi accertati; regola che, ovviamente, vale anche se
in tutto o in parte i maggiori ricavi siano stati assunti tramite indagini
bancarie".
[8]
Tali pronunciamenti richiamati assumono una
decisa importanza, poiché giungono all'indomani della sentenza della Corte
Costituzionale 8.6.2005, n. 225 che ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 32, co. 1, n. 2), D.P.R. 600/1973,
sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, poiché
"l'accertamento induttivo, riferibile ai prelevamenti non giustificati
disposti su conti correnti bancari, non si sottrae al rigido ossequio del
principio di capacità contributiva; di talché l'Amministrazione finanziaria
deve tenere conto, nella determinazione del reddito imponibile, dell'incidenza
dei costi correlati ai ricavi il cui conseguimento è peraltro presunto iuris
tantum, ammettendosi la prova contraria attraverso l'indicazione del
beneficiario dei prelievi. Deve altresì escludersi la violazione del principio
di uguaglianza costituendo la disponibilità dei conti correnti bancari elemento
idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non
giustificato di somme". Inoltre, la presunzione legislativa non è lesiva
del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, essendo
ipotizzabile che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari siano
stati immessi nell'attività d'impresa e siano, "quindi, in definitiva,
detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile".
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