lunedì 13 giugno 2016

GIUSEPPE ALIANO - INCIDENZA DEI COSTI OCCULTI NELL'ACCERTAMENTO SUI CONTI BANCARI


Incidenza dei costi occulti

nell’accertamento sui conti bancari

 

di Giuseppe Aliano

Università di Roma La Sapienza Cultore di Diritto Tributario

Dottore commercialista in Pescara

 

Sommario:

1.      Premessa.

2.      Le indagini bancarie - procedimento.

3.      I prelevamenti e l’indicazione del beneficiario.

4.      I costi occulti e l’incidenza sul reddito accertato.

5.      La giurisprudenza di legittimità

6.      Corte Costituzionale n. 225 dell'8.6.2005

 

 

1.      Premessa

Uno degli strumenti di lotta all'evasione oggi maggiormente utilizzato è costituito dalle c.d. "indagini bancarie", disciplinate dall'art. 32, D.P.R. 600/1973. Destinatari delle indagini bancarie possono essere sia le persone fisiche che i titolari di reddito d'impresa o di lavoro autonomo.

In particolare, in tale ultimo caso, un importante elemento di criticità, cui è rivolta l’analisi, è rappresentato dall'esatta ricostruzione della capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica, per cui non appare ragionevole la semplice e restrittiva applicazione della citata norma, nella parte in cui prevede il recupero a tassazione dell’ammontare di accreditamenti e prelevamenti non giustificati, che non tenga conto dell’eventuale sostenimento di costi "occulti", per i quali sia la prassi (C.M. 19.10.2006, n. 32/E[1]) che la giurisprudenza di legittimità (Cass. 20735/2010) prevedono il diritto alla deduzione, qualora ne venga provata l'esistenza sulla base di elementi certi e precisi. 

 

2.      Le indagini bancarie - procedimento

Per avviare dette indagini, l'ente accertatore deve previamente munirsi dell'autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della Guardia di finanza, del comandante regionale.

Una volta ottenuta l'autorizzazione, la norma prevede che l'indagine bancaria possa fornire ausilio ad una precedente attività di accertamento, ispezione e verifica instaurata nei confronti di un contribuente (p.to 6-bis, del citato art. 32), ovvero possa costituire autonoma attività istruttoria (successivo p.to 7), nel qual caso la richiesta di fornire dati, notizie "e qualsiasi rapporto intrattenuto" deve essere rivolta direttamente agli istituti finanziari e non al soggetto destinatario del controllo.

Il p.to 2, dell'art. 32, c. 1, D.P.R. 600/1973, disciplina la valenza probatoria delle indagini bancarie. Nello specifico, viene previsto che i dati e le notizie raccolti in sede di indagini sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40[2] e 41, D.P.R. 600/1973 se il contribuente:

·         non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine;

·         non indica il soggetto beneficiario degli incassi e dei prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili.

Come evidenziato dall'Agenzia delle Entrate (C.M. 19.10.2006, n. 32/E), il riferimento normativo alle scritture contabili trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture e, quindi, solo nel caso in cui sia configurabile un'attività economica, anche di natura professionale[3].

Per le persone fisiche, quindi, ciò che conta è che il movimento bancario faccia riferimento ad operazioni di cui si è tenuto conto ai fini della determinazione del reddito imponibile, ovvero di operazioni di cui non si è tenuto conto in quanto non rilevanti per detti fini.

Nel caso del soggetto che agisce in regime d'impresa o che svolge attività professionale, questi, in sede di indagini bancarie, sarà tenuto a dimostrare che le singole movimentazioni finanziarie hanno concorso alla formazione del reddito soggetto ad imposta, oppure che non vi hanno concorso in quanto non rilevanti. Inoltre, all'imprenditore o al professionista, saranno posti come ricavi o compensi gli incassi e i prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili e per i quali non viene indicato il soggetto beneficiario.

Proprio la dizione "... sempreché non risultino dalle scritture contabili ...", ha portato sia la dottrina che la giurisprudenza alla condivisibile opinione secondo cui non operi la presunzione di ricavo/compenso di cui all'art. 32, D.P.R. 600/1973, quando, nel caso di contribuente in contabilità ordinaria soggetto a verifica, si dia evidenza del prelievo in contabilità, con la specifica che il beneficiario risulti lo stesso imprenditore/ professionista.

Sulla base di tale considerazione, quindi, l'adozione anche volontaria della contabilità ordinaria potrebbe essere un valido scudo in tema di indagini bancarie, quantunque ciò comporti dei maggiori costi e non costituisca un obbligo, per non aver superato i limiti di cui all'art. 18, D.P.R. 600/1973.

In assenza di dettaglio contabile delle operazioni finanziarie, quindi, - come nel caso del contribuente in semplificata - l'unica difesa contro una ripresa a tassazione del prelevamento è l'indicazione del beneficiario.

 

3.      I prelevamenti e l’indicazione del beneficiario

Come è di facile intuizione, l'attenzione verrà posta soprattutto sui prelevamenti ed uscite finanziarie in quanto la difesa contro gli incassi si basa esclusivamente sulla non rilevanza degli stessi ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta e, nello specifico, nella dimostrazione che l'entrata finanziaria non riguarda l'attività imprenditoriale ovvero professionale svolta dal contribuente.

Con riferimento ai prelevamenti e alle uscite finanziarie, la via d'uscita dell'indicazione del beneficiario si presenta sovente come una "prova diabolica", soprattutto quando, come accennato poco sopra, il contribuente abbia adottato la contabilità semplificata e la verifica si riferisca ad annualità pregresse. Di contro, nella verifica basata sulle indagini bancarie, l’Agenzia delle Entrate mantiene un atteggiamento rigido nel richiedere che l'indicazione del beneficiario debba essere precisa e puntuale.

Dunque, non sono tollerate indicazioni di carattere generale; il giustificativo, infatti, deve essere potenzialmente idoneo a permettere ai funzionari dell'Ufficio, di verificare se il beneficiario dell'operazione abbia anch'egli, a sua volta, fatto concorrere alla formazione del reddito tale movimento, essendocene i presupposti.

L'obiettivo del doppio riscontro (prima in capo al soggetto sottoposto a verifica poi in capo all'eventuale beneficiario da lui indicato) è il motivo per il quale sono oggetto di ripresa a tassazione non solo gli incassi ma anche i prelevamenti non giustificati.

Come esplicitato nella C.M. 32/E/2006, il ragionamento che fa l'Agenzia delle Entrate è il seguente: agli incassi non giustificati corrispondono ricavi/compensi non dichiarati. Dall'altra, invece, i prelevamenti non giustificati probabilmente nascondono l'esecuzione di acquisti di beni e servizi, inerenti a ricavi o compensi non dichiarati.

Quindi, per quanto riguarda gli incassi, la ripresa a tassazione avviene direttamente in capo al soggetto destinatario delle indagini bancarie (il caso è quello del contribuente che non sia riuscito a dimostrare l'estraneità del movimento bancario alla propria attività imprenditoriale/ professionale); per quanto riguarda i prelevamenti, invece, ove il contribuente indichi in maniera puntuale il soggetto beneficiario, la ripresa a tassazione avverrà in capo a quest'ultimo, salvo i limiti temporali ed i termini di decadenza dell’azione accertatrice.

In caso contrario, il prelevamento non giustificato concorrerà alla formazione del reddito imponibile dello stesso contribuente, assieme agli altri incassi e prelevamenti non giustificati. Può dunque sostenersi che si sia davanti ad una solidarietà passiva al pagamento dei tributi.

 

4.      I costi occulti e l’incidenza sul reddito accertato

La corretta indicazione del beneficiario non consente solo di evitare l'attribuzione di ulteriori ricavi e compensi sulla base delle indagini finanziarie. Come affermato dalla Cassazione con Sentenza 20735/2010, il contribuente può dimostrare, infatti, che il prelevamento oggetto di contestazione non solo non rappresenta un compenso/ ricavo ma che lo stesso costituisce un costo inerente, rilevante ai fini della determinazione del maggior reddito accertabile, in virtù del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost.

La necessità di considerazione dei costi occulti è stata già evidenziata in passato dalla stessa Agenzia delle Entrate (C.M. 32/E/2006), facendo leva sul disposto di cui al co. 4, lett. b), dell'art. 109, D.P.R. 917/1986, il quale dispone che "le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi".

La norma è posta a difesa del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost., e fa in modo che la tassazione colpisca solamente il reale incremento di ricchezza originatosi in capo al soggetto sottoposto a verifica.

In sostanza, occorre verificare se all’ammontare del presunto imponibile che rappresenterebbe l’incremento di capacità contributiva verificatosi in capo all'imprenditore/professionista, va data possibilità di dimostrare l'esistenza di costi e spese inerenti i presunti ricavi/compensi non dichiarati; ove venisse dimostrata l'esistenza di tali costi, la tassazione dovrebbe colpire unicamente la quota parte di ricavo/compenso, rappresentativo del reddito occultato al Fisco.

Nella predetta circolare,  prosegue l'Agenzia delle Entrate, la possibilità di provare l'esistenza di eventuali costi occulti riguarda unicamente gli accertamenti che si fondano sui dati contabili. Dunque, il contribuente potrà provare l'esistenza di costi "neri" solo quando è destinatario di un accertamento analitico di cui all'art. 39, co. 1, lett. a), b) e c), ovvero analitico induttivo, di cui all'art. 39, co. 1, lett. d), D.P.R. 600/1973; ovverosia in riferimento a quelle modalità accertative che, partendo dal dato contabile, possono all'occorrenza essere supportate anche dall'impiego di presunzioni semplici, dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729, c.c.

Come cennato, inoltre, il riconoscimento dei costi "neri" deve avvenire, sulla base di elementi certi e precisi. Ciò in quanto, se è vero che ai sensi del c. 1, dell'art. 39, D.P.R. 600/1973 il singolo dato contabile può essere disatteso dall'Ufficio solo mediante presunzioni semplici ma "qualificate", non può il contribuente, in sede amministrativa o contenziosa, contestare la presunzione avanzata dall'Ufficio con un'altra presunzione, ma deve fornire una prova certa. Prosegue ancora l'Agenzia, affermando che il disposto del c.. 4, lett. b), dell'art. 109, D.P.R. 917/1986, costituisce appunto una presunzione legale relativa di indeducibilità a favore dell'Ufficio accertatore, tale per cui chi volesse provare l'esistenza di un costo deve dimostrare gli elementi certi e precisi cui si fonda suddetta richiesta di riconoscimento[4].

 

Nel caso di accertamento di tipo induttivo, quindi eseguito ai sensi del c.. 2, dell'art. 39, D.P.R. 600/1973, la presunzione legale relativa di cui al c.. 4, lett. b), dell'art. 109 D.P.R. 917/1986 non opera in quanto la ricostruzione del reddito è di tipo sintetico e non analitico (prescinde cioè dalle risultanze contabili). In questo caso però, afferma l'Agenzia delle Entrate, il principio di giusta capacità contributiva va garantito riconoscendo un'incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati[5].

 

5.      La giurisprudenza di legittimità[6]

Tornando al caso dell'accertamento analitico-induttivo, fondato sulla base delle risultanze di un'indagine bancaria e, nello specifico, sull'esatta ricostruzione della reale capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica, come evidenziato poco sopra, all'imprenditore, ovvero al professionista sottoposto ad indagine bancaria, sono posti come ricavi, ovvero compensi, gli incassi ed i prelevamenti che non risultano dalle scritture contabili e per i quali non viene indicato il soggetto beneficiario. L’aspetto cruciale è l'esatta individuazione della capacità contributiva dell'imprenditore /professionista sottoposto a verifica, mentre per l'Agenzia delle Entrate, nel caso di accertamento analitico-induttivo fondato sulle risultanze delle indagini bancarie, il riconoscimento dei "costi neri" deve poggiare su elementi certi e precisi.

In merito all'individuazione dei costi occulti è intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza 20735/2010, che avvalorando quanto già espresso dall'Agenzia delle Entrate nella citata C.M. 32/E/2006, ha disposto che qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l'ente accertatore è tenuto a riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del reddito, ai sensi della lett. d), del c. 1, dell'art. 39, D.P.R. 600/1973[7].

6.      Corte Costituzionale n. 225 dell'8.6.2005

Dunque, come già ritenuto dalla Consulta con la pronunzia richiamata, l'Amministrazione finanziaria deve tenere conto, nella determinazione del reddito imponibile, dell'incidenza dei costi correlati ai ricavi il cui conseguimento è peraltro presunto iuris tantum, ammettendosi la prova contraria attraverso l'indicazione del beneficiario dei prelievi[8].  Il contribuente può dimostrare, infatti, che il prelevamento oggetto di contestazione non solo non rappresenta un compenso/ricavo ma che lo stesso costituisce un costo inerente, rilevante ai fini della determinazione del maggior reddito accertabile, in virtù del principio di giusta capacità contributiva di cui all'art. 53, Cost.-

 

Concludendo, il contribuente potrà, in sede di verifica scaturita da indagini bancarie, tentare la via del riconoscimento di quei costi extracontabili che posseggano i requisiti di certezza e precisione richiesti dalla prassi e dalla giurisprudenza.



[1] In ordine all'incidenza dei costi occulti, ai fini delle imposte dirette, per quanto concerne l'accertamento dei redditi di impresa determinati sulla base delle scritture contabili, la C.M. 32/E/2006 prende le mosse dal disposto dell'art. 109, co. 4, lett. b), ultimo periodo, D.P.R. 917/1986 (applicabile anche alle imprese minori ex art. 66, co. 3), il quale prevede che "le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi".
 
[2] In virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 40, D.P.R. 600/1973, le previsioni normative recate dall'art. 39 spiegano la loro efficacia, oltre che nei confronti delle persone fisiche titolari di reddito d'impresa, anche nei riguardi delle persone giuridiche individuate dall'art. 73, D.P.R. 917/1986 e delle società di persone e associazioni indicate nell'art. 5 dello stesso D.P.R.
 
[3] Le indicazioni fornite trovano sostanziale applicazione anche nei confronti del reddito professionale, laddove la presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori autonomi e, in particolare, per quanto riguarda la valenza che assumono i prelevamenti e gli importi riscossi, che se non giustificati da parte del contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del relativo reddito (in particolare, art. 39, co. 3, D.P.R. 600/1973).
 
[4] Sul punto, viene richiamata la sentenza della Corte di Cassazione 4.5.2005, n. 18016 (depositata il 9.9.2005), secondo la quale "alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non una altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale"; e ciò nella considerazione che sarebbe irragionevole far valere una diversa regola di esperienza che a ricavi occulti siano genericamente e automaticamente accompagnati costi occulti, mentre potrebbe assumere pari e superiore valore una regola contraria che "a ricavi occulti siano accompagnati costi già dichiarati in misura maggiore del reale". Negli stessi termini si pone anche la sentenza n. 19003/2005. Entrambe in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”
 
[5] Al riguardo cfr. Ctr del Lazio, sentenza n. 311/38/12 depositata il 29.11.2012 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”.
 
[6] la giurisprudenza della Cassazione, nel corso di questi anni, è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità dei controlli bancari: in particolare, sulla necessità o meno dell'instaurazione del contraddittorio tra verificatori e contribuente, sull'opportunità della sussistenza di ulteriori elementi probatori a supporto dell'istruttoria, sull'estensibilità delle indagini ai terzi, e sull'onere della prova. Evidenziamo la pregressa giurisprudenza:
- sentenza n. 15447/2001, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che ha affermato che "i dati acquisiti attraverso accertamenti della Guardia di Finanza, ed in particolare i dati dei movimenti bancari, costituiscono legittima fonte di convincimento per l'Ufficio e per il giudice";
- sentenza n. 1196/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che non accoglie la tesi difensiva del contribuente, secondo cui il titolare di un'impresa individuale deve ritenersi soggetto distinto rispetto alla persona fisica che esercita l'impresa, e che, pertanto, non potevano utilizzarsi le risultanze del controllo sui conti del ricorrente ai fini dell'accertamento sul verificato, trattandosi "di motivi infondati, che sono accomunati dall'errore di postulare per il titolare di un'impresa individuale una posizione giuridica distinta, sotto il profilo tributario, da quella della persona fisica che esercita l'impresa. Al contrario, è principio fondamentale dell'imposizione sui redditi delle persone fisiche quello per il quale tutti i redditi posseduti, e, tra questi, anche quello d'impresa, si cumulano, concorrendo a formare, in capo al contribuente persona fisica, un'unica base impositiva sulla quale si applica l'imposta";
- sentenza n. 8683/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui l'intestazione dei conti correnti a familiari (nel caso di specie, al coniuge) "(...) rappresenta un espediente normale (...) quando il contribuente sia soggetto a verifiche fiscali". Non vi sono, quindi, dubbi sul fatto che l'indagine sul conto cointestato è legittimata se i coniugi sono co-dichiaranti, "(...) ma risulta del pari legittima siffatta indagine in ragione della connessione e della inerenza del conto intestato al coniuge al (conto intestato al) contribuente. Se la legge consente l'acquisizione delle garanzie prestate da terzi, a maggior ragione è consentita l'acquisizione di dati relativi a conti correnti del coniuge";
- sentenza n. 2814/2002, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che stabilisce che conti intrattenuti dal contribuente non devono considerarsi unicamente i "conti formalmente intestati alla società", ma anche "quelli formalmente intestati a suoi soci, amministratori o procuratori generali", gravando comunque sull'Amministrazione l'onere di provare, anche in via presuntiva, "la natura fittizia dell'intestazione o comunque la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati o elementi di essi";
- sentenza n. 11094/1999, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che sostiene che nessuna norma prevede la nullità dell'azione di accertamento nel caso in cui non venga instaurato il contraddittorio anticipato con il contribuente, al fine di consentirgli di fornire la prova contraria (in senso conforme Cass. sent. n. 9946/2000; sent. n. 10060/2000; sent. n. 4601/2002);
- sentenza n. 3128/2001, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che riafferma il principio che l'attività di controllo e accertativa, non essendo retta dal principio del contraddittorio, esclude che le risultanze emerse dall'attività di verifica, non possano costituire un valido supporto probatorio della pretesa impositiva solo per la mancata immediata contestazione al contribuente in sede di verifica;
- sentenza n. 14420/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui la mancata individuazione dei beneficiari di somme transitate sui conti bancari di una società non è sufficiente ai fini Iva per qualificare queste voci quali ricavi non dichiarati. La Corte, pur evidenziando come spetti al contribuente l'onere di dimostrare che gli elementi rilevati dai conti bancari siano stati considerati per la determinazione del reddito, ovvero che non abbiano rilevanza a tal fine, ha affermato che l'art. 51, D.P.R. 633/1972, a differenza della corrispondente disposizione per le imposte sui redditi, non prevede a carico del contribuente l'obbligo di indicazione dei beneficiari dei movimenti bancari;
- sentenza n. 16035/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui la presunzione che assimila ai ricavi non dichiarati i prelevamenti effettuati dal contribuente non vale se si riesce a dimostrare che di tali somme si è tenuto conto nella determinazione del reddito. In particolare, nel caso specifico, la Corte ha statuito che gli assegni bancari transitati sui conti correnti e cambiati per cassa non costituiscono necessariamente ricavi occulti;
- sentenza n. 19947/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che ribadisce il principio, affermato per altro nella sentenza n. 11778/2001, "secondo cui l'utilizzazione dei poteri riconosciuti dalla norma (...) relative ad annualità precedenti la sua entrata in vigore non configura affatto una applicazione retroattiva della disposizione in quanto non determina una modificazione sostanziale della posizione soggettiva del contribuente atteso che gli obblighi di questo nei confronti del Fisco restano quelli separatamente contemplati dalle leggi in vigore al tempo della dichiarazione: il momento dell'accertamento, infatti, per sua natura, non è idoneo a modificare l'obbligazione tributaria né il contenuto della dichiarazione, il cui parametro di legittimità è costituito dalla sua veridicità, per cui la contestata applicazione incide solo sul controllo di tale dichiarazione, più specificamente sull'acquisizione della prova";
- sentenza n. 21580/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che legittima l'operato dell'Ufficio che ha acquisito notizie relative ai conti correnti bancari intestati ai soci di società a ristretta base azionaria, quando sia finalizzato ad accertare il carattere fittizio di tale intestazione e l'esistenza di ricavi non dichiarati da parte della società;
- sentenza n. 18016/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, che ha sostenuto che "in caso di acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili all'impresa (nel caso di specie, si trattava di un conto corrente intestato al socio accomandante, su sui operavano i soci accomandatari), debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive sia quelle passive (a meno che l'imprenditore non dimostri che corrispondano ad operazioni già contabilizzate o estranee all'attività aziendale)". Il dato più interessante della sentenza è sicuramente l'affermazione secondo cui "non occorre procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili (nel caso di specie, il giudice di I grado aveva equitativamente dedotto dai ricavi accertati un 60 per cento a titolo di presumibili spese, il giudice d'appello aveva cancellato simile deduzione e la Cassazione ha confermato la pronuncia di II grado)";
- sentenza n. 19003/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, con cui è stato affermato che "in caso di acquisizioni dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili all'impresa (...) debbono essere considerati ricavi sia le operazioni ative sia quelle passive (...), senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo onere del contribuente indicare e provare eventuali specifici costi deducibili";
- sentenza n. 19956/2005, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui, in tema di Iva, il rinvenimento di singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari non transitati nelle scritture dell'imprenditore, costituisce il presupposto di una presunzione legale (anche se relativa, in quanto è ammessa la prova contraria da parte del contribuente), a favore del Fisco, utilizzabile ai fini della ricostruzione della base imponibile e la cui configurabilità non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato in sede amministrativa. La sentenza, inoltre, afferma, in pratica, che le disposizioni in materia di accessi bancari costituiscono norme procedimentali relative all'acquisizione delle prove, che possono spiegare effetti anche in ordine a rapporti pregressi;
- sentenza n. 3115/2006, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui l'utilizzo dei dati bancari non è subordinato al contraddittorio con il contribuente;
- sentenza n. 15166/2006, in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore”, secondo cui la causale "acconto forniture" indicata nella matrice di un assegno, oltre ad implicare la prova diretta dell'esistenza di una operazione commerciale, che se non trova riscontro in contabilità, fa nascere la presunzione di acquisti in nero, determina la presunzione di una successiva cessione degli stessi beni.
- Cass. n. 7957/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Le presunzione di cui all'art. 32, D.P.R. 600/1973 si estende anche ai conti correnti sui quali di norma il contribuente opera (nel caso di specie sulla base di delega dell'intestatario), anche se si tratti di conti correnti intestati a familiari (nella specie, al figlio). Per la Suprema Corte l'estendibilità delle presunzioni ai terzi deriva dalla constatazione che "altrimenti sarebbe assai facile eluderne la portata precettiva". In ogni caso, "la gestione di un conto corrente altrui è circostanza eccezionale che rende valida l'estensione della presunzione di appartenenza dei relativi redditi, equivalendo l'intestazione formale, a tali fini, al potere di sostanziale disposizione, ove non si alleghi e si dimostri che quel potere di disposizione era dato per circostanze specifiche e ampiamente giustificabili; che, in ogni caso, al contribuente spetta il diritto di controdedurre sulle operazioni svolte su tali conti, rendendone ragione, con l'allegazione di fatti suscettibile di apprezzamento da parte del giudice".
- Cass. n. 6743/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - In una società la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può presumere che siano riconducibili alla società contribuente le operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati ai soci e ai loro familiari, salva la facoltà di provare la diversa origine di tali entrate. Secondo la Corte di Cassazione è principio consolidato che la presunzione legislativa in ordine ai controlli bancari può essere vinta dal contribuente solo se offre la prova "liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi si riferiscono ad operazioni imponibili (cfr. Cass., sentt. n. 3929 del 2002, n. 2435, n. 8457 del 2001, n. 9946 del 2000 e n. 18421, n. 26692 e n. 28324 del 2005)", e "che, peraltro, l'estensione delle indagini bancarie anche a soggetti terzi rispetto alla società non può ritenersi illegittima in quanto tutti detti soggetti hanno riferimento nella società o quali amministratori o quali congiunti di questi e, quindi, in una società, come nella specie, la cui compagine sociale e la cui amministrazione è riferibile ad un unico ristretto gruppo familiare ben si può ritenere che l'esistenza di tali vincoli sia sufficiente a giustificare la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari intestati a tali soggetti, salva naturalmente la facoltà di questi di provare la diversa origine di tali entrate (cfr. Cass., sentt. n. 1728 del 1999, n. 8683 del 2002, n. 13391 del 2003 e, con qualche limitazione, sent. n. 8826 del 2001)".
- Cass. n. 9588/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - In caso di accertamenti nei confronti di una società di persone, l'acquisizione e utilizzazione dei dati bancari non è limitata ai soli conti intestati alla società ma può riguardare anche quelli formalmente intestati a soggetti diversi, ove legati alla società da particolari rapporti, quali i soci amministratori, atteso che il rapporto intercorrente tra questi ultimi e la società amministrata è talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria, l'utilizzazione dei dati raccolti.
- Cass. n. 9570/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - L'utilizzazione dei dati bancari non è subordinata alla prova che il contribuente eserciti attività d'impresa; infatti, se non viene contestata la legittimità dell'acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i medesimi possono essere utilizzati sia per dimostrare l'esistenza di una eventuale attività occulta sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, essendo onere del contribuente dimostrare che i movimenti bancari, che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni, non sono fiscalmente rilevanti.
- Cass. n. 19216/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Spetta al contribuente assolvere l'onere probatorio, sussistendo presunzione iuris tantum in favore dell'Amministrazione finanziaria, sulla dimostrazione circa l'indifferenza degli elementi, dati e risultanze derivanti dai depositi intrattenuti presso istituti di credito -posti a base dell'attività di accertamento-, ovvero di averne tenuto conto ai fini degli adempimenti dichiarativi oppure di averli esclusi non riferendosi i medesimi ad operazioni imponibili.
- Cass. n. 20630/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale opera una presunzione legale iuris tantum in favore dell'Amministrazione finanziaria -che a differenza delle presunzioni semplici non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 del c.c.- circa l'imponibilità dei movimenti bancari rinvenuti nei conti intrattenuti dal contribuente, ancorché cointestati con terzi. Conseguentemente, grava sul contribuente l'onere di provare che tali movimenti non sono inerenti ad operazioni imponibili ovvero hanno concorso alla formazione della base imponibile. La Corte, quindi, non condivide l'operato della Commissione tributaria regionale, che aveva accolto l'appello del contribuente per mancanza di prova dell'esercizio dell'attività commerciale da parte del contribuente, "non avendo l'ufficio fornito la prova contraria all'affermazione di costui, secondo la quale i proventi rinvenuti nel conto corrente cointestato con la moglie provenivano dall'attività di meretricio esercitata dalla stessa". La Commissione tributaria regionale aveva, invece, addossato all'Amministrazione finanziaria "l'onere di dimostrare la non veridicità dell'assunto secondo il quale nel conto corrente cointestato con la moglie erano affluiti esclusivamente i proventi dell'attività, non imponibile, di costei, in tal modo invertendo illegittimamente l'onere della prova, posto che alla suspecificata presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non una mera affermazione indimostrata (Cass. n. 18016/2005), e senza tener conto (Cass. n. 11778/2001, n. 15447/2001) che la prova contraria di cui è onerato il contribuente (n. 2814/2002) va commisurata alla natura e alla consistenza degli elementi indiziari utilizzati dall'Amministrazione -nella specie riscontrati dalla Guardia di finanza nei confronti di A.B.- per inferire la prova dell'attività di lavoro autonomo svolta dal medesimo (Cass. n. 4601/2002, n. 7329/2003)".
- Cass. n. 20858/2007 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Le norme di riferimento in materia di indagini finanziarie prevedono delle presunzioni legali, ancorché semplici, in forza delle quali i versamenti su conto corrente bancario, in assenza di prova contraria del contribuente che attesti la loro inerenza all'imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa.
- Cass. n. 6351/2008 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - La documentazione contabile rinvenuta presso il contribuente (nella specie, estratti conto) può essere legittimamente utilizzata anche in assenza di ulteriori riscontri (quali ulteriori indagini presso gli istituti di credito) laddove il soggetto verificato non ne contesti la difformità dall'originale in quanto deve assumersi che essi siano conformi a quelli detenuti dall'ente emittente. "La documentazione acquisita è costituita da estratti -conto, che in mancanza di contestazione circa la loro conformità agli originali, hanno lo stesso valore probatorio dei correlativi documenti detenuti dall'istituto di credito e sono quindi dati certi ed obiettivi (non dunque mere presunzioni) utilizzabili ai fini della ricostruzione della movimentazione bancaria del contribuente".
- Cass. n. 7766/2008 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - L'interpretazione delle disposizioni normative di riferimento, che è fornita dalla consolidata giurisprudenza della Corte e alla quale anche in questo caso il Collegio ritiene di dover aderire, è nel senso che, "in tema di accertamento delle imposte dirette, il D.P.R. n. 600/73, art. 32, co. 1, n. 2, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Ciò significa che la stessa legge ritiene certo fino a prova contraria, che dev'essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato (anche) ad una società sono ad essa imputabili (vedasi, tra le più recenti, le seguenti sentenze della Corte di Cassazione: 5.10.2007, n. 20858; 27.7.2007, n. 16720; 13.6.2007, n. 13819; 21.3.2007, n. 6743; 8.9.2006, n. 19330; 23.6.2006, n. 14675)". Per la Corte, "invocare che il grado di parentela degli intestatari dei conti correnti con i soci della Società non possa costituire la prova, sia pure indiretta, che le operazioni bancarie siano state poste in essere dalla Società, non solo è inutile, perché non serve a togliere efficacia alla presunzione legale, ma semmai la rafforza proprio in ragione della natura del vincolo dei cointestatari (Corte di Cassazione: 5.10.2007, n. 20858; 7.9.2007, n. 18868; 30.3.2007, n. 7957; 21.3.2007, n. 6743)".
- Cass. n. 15172/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - "L'acquisizione dei conti correnti della società e di terzi ad essa collegati (nella specie, l'amministratore della medesima) doveva ritenersi legittima anche in presenza di contabilità regolarmente tenuta e i dati emergenti dai suddetti conti correnti costituivano legittimamente il fondamento di una presunzione legale".
- Cass. n. 14967/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - Non è suscettibile di integrare violazione del diritto di difesa l'invito a fornire elementi e notizie da parte dell'Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente in luogo del curatore fallimentare. Trattasi peraltro di mera facoltà non essendovi obbligo per l'Erario di un contraddittorio nella fase amministrativa.
- Cass. n. 2753/2009 - in “Banca dati del commercialista” de “Il Sole 24 ore” - La presunzione opera "con forza tale da vincolare l'ufficio tributario ad assumere per certo che la movimentazione bancaria dei conti correnti intestati (...) sia (...) imputabile" a colui che dispone del conto, senza necessità di "procedere all'analisi delle singole operazioni, che, dato il connesso effetto dell'inversione dell'onere della prova, spetta invece al contribuente di effettuare (Corte di Cassazione: 24.9.2007, n. 18013; 27.7.2007, n. 16720; 13.6.2007, n. 13819)". In presenza di accertamenti bancari, quindi (Cass., trib., 28.3.2008 n. 8041), incombe "al contribuente l'onere di dimostrare che i movimenti bancari che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni non sono fiscalmente rilevanti (Cass. n. 9573/2007, n. 1739/2007, n. 28324/2007)".
 
[7] Naturalmente, qualora il contribuente abbia fornito le valide giustificazioni atte a neutralizzare le movimentazioni finanziarie effettuate, non opera la presunzione a livello legale e quindi, in linea di massima, non si configura un parallelo problema di deducibilità di costi.
Tuttavia, "qualora a fronte di un prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di acquisto, ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile, documentazione probante, l'ufficio procedente dovrà invece riconoscere detto costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del reddito ai sensi della citata lettera d)".
Se, invece, l'Ufficio utilizza l'accertamento di tipo induttivo, ex art. 39, co. 2, D.P.R. 600/1973, "l'ufficio non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di un'incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi accertati; regola che, ovviamente, vale anche se in tutto o in parte i maggiori ricavi siano stati assunti tramite indagini bancarie".
 
[8] Tali pronunciamenti richiamati assumono una decisa importanza, poiché giungono all'indomani della sentenza della Corte Costituzionale 8.6.2005, n. 225 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 32, co. 1, n. 2), D.P.R. 600/1973, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, poiché "l'accertamento induttivo, riferibile ai prelevamenti non giustificati disposti su conti correnti bancari, non si sottrae al rigido ossequio del principio di capacità contributiva; di talché l'Amministrazione finanziaria deve tenere conto, nella determinazione del reddito imponibile, dell'incidenza dei costi correlati ai ricavi il cui conseguimento è peraltro presunto iuris tantum, ammettendosi la prova contraria attraverso l'indicazione del beneficiario dei prelievi. Deve altresì escludersi la violazione del principio di uguaglianza costituendo la disponibilità dei conti correnti bancari elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non giustificato di somme". Inoltre, la presunzione legislativa non è lesiva del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, essendo ipotizzabile che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari siano stati immessi nell'attività d'impresa e siano, "quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile".
 

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